Da Vittorio

Una porta divide l’ordinarietà della vita di tutti i giorni da quello che ha tutti i presupposti di essere la perfetta metafora di ció che Alice vide nel Paese delle Meraviglie non appena apri le porte di quel mondo incantato, colorato, profumato… a tratti magico. La tenuta del Ristorante da Vittorio a Brusaporto è tutto questo: un laghetto con dei ponticelli in legno, prati fioriti, alberi, vigneti e due strutture che ti ricordano come in questo paese nasce e si tramanda la cucina come la più antica e preziosa tra le tradizioni.
La storia
Sì, questa è una storia di tradizione, di famiglia, di calore, di gioia e di premura. E il finale? Cercare in ogni momento di regalare a chi ha l’occasione di entrarne a far parte quella sensazione, familiare ma così rara, che solo i migliori pasti domenicali, tra la Nonna e la Mamma, riescono a ricreare. È una storia di famiglia perché i Cerea cosa sono se non una delle massime espressioni di evoluzione del concetto di “conduzione familiare”, persone dedite tutte a rendere sempre più bello e splendente il loro gioiello, che da diamante grezzo adesso è una pietra della quale non solo gli intenditori possono ammirare e riconoscere la bellezza.
Il luogo

Tavoli maestosi, tovaglie bianche, camerieri ovunque ad accompagnare la trepidante voglia di cominciare quello che sarebbe stato appunto un viaggio nella tradizione di un luogo che detiene, gelosamente e orgogliosamente, il massimo riconoscimento che oggi si possa raggiungere. Quei tre simboli con i quali la Michelin descrive un posto per il quale non solo vale la tappa o la deviazione, ma l’intero “Viaggio”.

Il ristorante

L’accoglienza ed il servizio sono quanto di più caloroso e premuroso si possa desiderare, la vista e la luminosità degli spazi sono abbaglianti, il locale è un vero gioiello… ed abbiamo inquadrato la cornice. Adesso passiamo “al piatto forte”, assaggiamo l’offerta di questo tempio culinario.
Il menù è semplice, portate che puntano a far rivivere la storia del locale cercando di inserire il più possibile il fattore umano ed il calore che nemmeno un piatto riesce a lasciarti se non ben contestualizzato.
Si parte con un Amouse Bouche degno di scatti, paparazzi e flash perché molto fotogenico ed inoltre intento a preparare il gusto a quello che sarà. La portata risulta estremamente fresca e colorata con picchi di sapore dati dalle uova di trota che tentano di alzare le cime di questo elettrocardiogramma che rappresenta il piatto; in accompagnamento arriva il primo giro, uno dei tanti, di pane e grissini che saranno una costante di tutto il nostro pasto.

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Si comincia! Tartare di Tonno, Salsa di Bagnacauda e Panure di Pistacchi, sapori semplici, forti, legati per cercare un equilibrio che nasce nella quantità dei vari ingredienti inserita nel piatto. Il tonno fa un viaggio in Piemonte ad assaggiare l’acciuga e l’aglio, legati in una salsa che riesce ad esaltare il gusto del pesce pur mantenendo la sua identità, la panura di pistacchi compete a regalare quella sensazione sempre piacevole di croccantezza sotto ai denti.
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Altro giro, altra corsa.. Caramella di Triglia, Pomodori informati, Pesto di Rucola e Senape.. il piatto forse più esaltante del menù proposto, una frittura leggerissima di una che con la cottura si arrotola su se stessa ricordando perfettamente la forma di una caramella chiusa, i pomodori danno quella nota di acidità che perfettamente si sposa con la piccantezza e cremosità di senape e pesto che esaltano enormemente il sapore del pesce. L’idea del piatto è meravigliosa, la realizzazione forse anche meglio.
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La terza portata è accolta con gioia e con fare da parte nostra un po’ da tifosi.. imbavagliati per bene, dopo la sfilata dello chef con la pentola d’oro piena di paccheri di gragnano, passata di pomodoro e basilico, e dopo averne ammirato le gesta nella mantecatura al tavolo con un parmigiano poco stagionato che perfettamente riesce ad aumentare la cremosità della salsa, siamo pronti a godere di questa proposta della chef, che ricorda i 50 anni del ristorante, e che richiede l’obbligo di scarpetta.
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Il piatto è semplice, è quel racconto di quando la nonna preparava il pentolone di pasta per dieci, quindici persone al pranzo domenicale, è l’assaporare il senso di famiglia, amicizia, condivisione e complicità che difficilmente riesci a rivivere se non passando al tuo vicino un pezzo di pane per pulire definitivamente il piatto.
Passiamo all’ultima portata prima dei dolci, altro eco alla cucina popolare e “domenicale”, altro ricordo di un sapore genuino, di quello “spaghetto a vongole”, detto alla napoletana, ed un pesce al sale. La portata è un trancio di spigola, cotto molto lentamente, con una foglia di lattuga arrostita ed una salsa di vongole e patate che aiuta a rivivere il ricordo.
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Per i dolci servirebbero trenta, anche quaranta righe.. al solo avvicinarsi della portata si avvicinano come Satana con Gesù nel deserto una schiera di camerieri e pasticceri intenti a tentare i commensali a godere delle loro primizie. Arrivano avvolti in nuvole di zucchero filato piccole pasticcerie e con esse dei mignon assemblati al tavolo. Risultato: l’ennesimo trionfo di un pranzo che riesce perfettamente a definirne il termine.
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Location elegante e fiabesca
Occasione occasione speciale
Prezzo medio 200
Servizio 5/5
Qualità 5/5
Instagrammabilità 5/5
Indice di sazietà 5/5
Quanto ci piace? 5/5
tag vegan/ veggie friendly tutte le richieste vengono accontentate
tag glutenfree tutte le richieste vengono accontentate

Luca Borgomeo

(foto dei piatti di Alice Bergomi e Francesca Stabile)

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